A Pompei le ricerche delle Università americane quali Princeton nel New Jersey, della North Carolina State University e dell’Università Federico II di Napoli!
La presentazione alla Conferenza “POMPEI · 79 d.C. questioni di metodo e di narrazione storica”, voluta da Archeoclub d’Italia con il Parco Archeologico di Pompei e ideata dall’archeologa Helga Di Giuseppe.
Una conferenza che apre un ampio dibattito!
Mary Evelyn Farrior del Dipartimento degli Studi Classici dell’Università di Princeton nel New Jersey, Stati Uniti : “Abbiamo trovato un deposito di canne come vicino al fiume Sarno, e questa cosa è molto molto unica perché non c’è un altro esempio nel mondo romano di un deposito così Pensiamo che c’era uno spazio per la lavorazione, la preparazione di queste canne. E’ un risultato interessante!”.
Jordan Rogers, docente di Storia Antica presso la North Carolina State University : “E’ una scoperta importante perchè è un deposito che è arrivato ai giorni nostri molto ben preservato. Nel Mondo romano, ad oggi non c’è un altro esempio. Però non è la prova di una possibile nuova datazione dell’eruzione!”.
Alessia D’Auria ricercatrice del Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II : “Abbiamo studiato le collezioni antiche conservate al Museo archeologico nazionale di Napoli e del Parco archeologico di Ercolano, ovvero la collezione per quanto riguarda il manna dei commestibili e degli avanzi organici, quindi tutti i resti vegetali provenienti dall’area vesuviana del 79 d.C. Sono reperti che costituiscono l’alimentazione, la dieta antica, le basi della dieta mediterranea e quello che abbiamo potuto notare con un studio intenso di questo materiale è la presenza di una melagrana che all’interno conserva ancora gli arilli!”.
E Pompei ci dice che l’archeobotanica può essere un metodo di ricerca importante.
Gaetano Di Pasquale, docente di Tecnologia del legno presso il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II : “L’archeobotanica è un metodo di ricerca potentissimo perché a seconda dei contesti e a seconda delle domande che pone il ricercatore e l’archeologo, ovviamente, riesce a rispondere sia in ambito di alimentazione umana, quindi raccontando quella che era l’alimentazione in determinato luogo in un determinato periodo, sia più in generale riuscendo a descrivere quello che era il rapporto tra le comunità umane di un determinato territorio e l’ambiente circostante!”.
“Abbiamo illustrato i risultati di ben quattro stagioni di scavo da noi condotte a Pompei alla Porta Nocera, e abbiamo trovato un deposito unico di canne così come vicino al fiume Sarno, e questa cosa è molto molto unica perché non c’è un altro esempio nel mondo romano di un deposito così. Abbiamo scavato anche in altri territori ma un deposito così lo abbiamo trovato solo a Pompei. Pensiamo che c’era uno spazio per la lavorazione, la preparazione di queste canne. E’ un risultato interessante perché le canne sono un prodotto d’inverno, non c’è un prodotto di questo tipo in Estate, per esempio, e per questa ragione pensiamo che forse l’eruzione potrebbe essere avvenuta più tardi ma allo stesso tempo non può essere questa la prova certa. Infatti le canne trovate nel deposito che abbiamo portato alla luce a Pompei potrebbero essere state raccolte d’Inverno per poi essere conservate”. Lo ha affermato Mary Evelyn Farriordel Dipartimento degli Studi Classici dell’Università di Princeton nel New Jersey, Stati Uniti, intervenendo alla conferenza internazionale : “POMPEI · 79 d.C. questioni di metodo e di narrazione storica”, all’Antiquarium di Boscoreale organizzata dal Parco Archeologico di Pompei in collaborazione con la Casa editrice Scienze e Lettere e l’Archeoclub d’Italia.
“E’ una scoperta importante perchè è un deposito che è arrivato ai giorni nostri molto ben preservato. Nel Mondo romano – Jordan Rogers, docente di Storia Antica presso la North Carolina State University – ad oggi non c’è un altro esempio. Però non è la prova di una possibile nuova datazione dell’eruzione”.
Gli studi dell’Università Federico II di Napoli. Forse una risposta potrebbe venire dallo studio delle melagrane! Ma anche in questo caso non ci sono ancora certezze!
“Abbiamo studiato le collezioni antiche conservate al Museo archeologico nazionale di Napoli e del Parco archeologico di Ercolano, ovvero la collezione per quanto riguarda il manna dei commestibili e degli avanzi organici, quindi tutti i resti vegetali provenienti dall’area vesuviana del 79 d.C. Sono reperti che costituiscono l’alimentazione, la dieta antica – ha dichiarato Alessia D’Auria ricercatrice del Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II – le basi della dieta mediterranea e quello che abbiamo potuto notare con un studio intenso di questo materiale è la presenza di una melagrana che all’interno conserva ancora gli arilli. Gli arilli sono la polpa che riveste il seme della melagrana che si degrada facilmente. Noi ipotizziamo che questo potrebbe essere il reperto che ci può dare dei suggerimenti sulla stagione dell’eruzione del 79 d.C. perché questi arelli si degradano facilmente, si conservano per 10 giorni massimo.
La letteratura agronomica indica che il periodo di maturazione delle melagrane vada a settembre-novembre. Per cui noi ipotizziamo che probabilmente queste melagrane che appunto presentano gli arelli, oltre al ritrovamento soltanto degli arelli ad Ercolano, sono di frutti che sono stati raccolti da poco”.
Anche l’archeobotanica è un metodo di ricerca importante per arrivare ad un risultato!
“L’archeobotanica è un metodo di ricerca potentissimo perché a seconda dei contesti e a seconda delle domande che pone il ricercatore e l’archeologo, ovviamente, riesce a rispondere sia in ambito di alimentazione umana, quindi raccontando quella che era l’alimentazione in determinato luogo – ha affermato Gaetano Di Pasquale, docente di Tecnologia del legno presso il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II – in un determinato periodo, sia più in generale riuscendo a descrivere quello che era il rapporto tra le comunità umane di un determinato territorio e l’ambiente circostante, sia come spazi agrari che come spazi forestari, quindi riesce a dare un quadro molto preciso e abbastanza completo e dettagliato di quello che era l’utilizzo delle risorse, la capacità di gestire le produzioni che necessitavano per quelle determinate comunità”.
Per la stampa –
Ufficio Stampa Parco Archeologico di Pompei – Tel 081 – 8575327 – pompei.ufficiostampa@cultura.gov.it
Giuseppe Ragosta – Addetto Stampa Archeoclub d’Italia – Tel 392 – 5967459.
