Pompei è un modello scientifico. La conferma arriva dalla Conferenza “POMPEI · 79 d.C. questioni di metodo e di narrazione storica”, voluta da Archeoclub d’Italia con il Parco Archeologico di Pompei e ideata dall’archeologa Helga Di Giuseppe.
Una conferenza che apre un ampio dibattito!
Trovate tracce dell’eruzione che coprì Pompei anche sui fondali marini al largo della Calabria a 600 metri di profondità
L’attività di ricerca dell’Università di Palermo!
Antonio Caruso – paleoclimatologo e docente di Paleontologia e Paleoecologia presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche dell’Università di Palermo: “Abbiamo condotto degli studi in collaborazione con l’Università di Napoli e col CNR e abbiamo effettuato delle campagne oceanografiche prelevando delle carote di sedimento, per esempio nel Mar Tirreno al largo della Calabria, a centinaia di chilometri dal vulcano Vesuvio, confrontandole con le carote studiate nel mar Ionio e nel canale di Sicilia. Dall’analisi dei sedimenti è emersa la presenza di un livello cineritico di origine vulcanica legato alla esplosione del Vesuvio del 79 d.C. nella carota del Tirreno meridionale. Questo significa che le ceneri della nube vulcanica sono state trasportate dal vento verso sud-sud-est a centinaia di chilometri di distanza e si sono depositate in fondo al mare.
La carota di sedimento del Tirreno meridionale è stata prelevata ad oltre 600 metri di profondità, datando il livello con il metodo del Carbonio-14. I dati ottenuti confermano l’origine del livello cineritico proveniente dal Vesuvio, l’eruzione che ha distrutto Pompei ed Ercolano!”.
” “Abbiamo condotto degli studi in collaborazione con l’Università di Napoli e con il CNR ed abbiamo effettuato delle campagne oceanografiche prelevando delle carote di sedimento come, per esempio, nel Mar Tirreno al largo della Calabria, a centinaia di chilometri dal vulcano Vesuvio, confrontandole con le carote studiate nel mar Ionio e nel canale di Sicilia.
Dall’analisi dei sedimenti è emersa la presenza di un livello cineritico di origine vulcanica legato alla esplosione del Vesuvio del 79 d.C. nella carota del Tirreno meridionale. Questo significa che le ceneri della nube vulcanica sono state trasportate dal vento verso sud-sud-est a centinaia di chilometri di distanza e si sono depositate in fondo al mare.
La carota di sedimento del Tirreno meridionale è stata prelevata ad oltre 600 metri di profondità, datando il livello con il metodo del Carbonio-14. I dati ottenuti confermano l’origine del livello cineritico proveniente dal Vesuvio, l’eruzione che ha distrutto Pompei ed Ercolano.
Quindi i resti dell’eruzione del Vesuvio non si trovano soltanto vicino Pompei, ma ci sono tracce in tutto il bacino tirrenico nel versante esposto alla direzione del vento. Ovviamente la dispersione delle ceneri dipende dalla direzione del flusso e del vento. Dai sedimenti della carota raccolta nel Tirreno meridionale, che copre gli ultimi 15.000 anni, abbiamo ottenuto anche dati paleoclimatici grazie ad analisi geochimiche ed utilizzando i microfossili. Abbiamo notato che subito dopo l’eruzione del Vesuvio è presente una piccola diminuzione della temperatura.
Molto spesso le eruzioni vulcaniche di notevole importanza possono modificare le condizioni climatiche causando una diminuzione della temperatura media del pianeta. Questo perché la notevole quantità di cenere eruttata nell’alta atmosfera può creare delle modifiche al sistema meteorologico”. Lo ha affermato Antonio Caruso, paleoclimatologo e docente di Paleontologia e Paleocologia presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche dell’Università di Palermo, intervenendo alla conferenza internazionale: “POMPEI · 79 d.C. questioni di metodo e di narrazione storica”. Lo ha affermato Antonio Caruso, paleoclimatologo e docente di Paleontologia e Paleoecologia presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche dell’Università di Palermo, intervenendo alla conferenza internazionale : “POMPEI · 79 d.C. questioni di metodo e di narrazione storica”, all’Antiquarium di Boscoreale organizzata dal Parco Archeologico di Pompei in collaborazione con la Casa editrice Scienze e Lettere e l’Archeoclub d’Italia.
Dal possibile studio dei pollini potrebbe arrivare la risposta alla datazione dell’eruzione del 79 d.C.!
” Il calendario astronomico che si usava nel 79 d.C. era simile a quello che oggi noi usiamo con piccole differenze. Dal punto di vista astronomico, per esempio l’equinozio di primavera ricadeva il 22 marzo – ha continuato Caruso – molto simile, adesso è il 20 marzo. Mentre invece l’equinozio di autunno era il 24 settembre, una differenza di soli due giorni rispetto a quello che noi oggi abbiamo nel 2025.
Il problema invece è la posizione della Terra nella rotazione attorno al Sole, perché la posizione e la distanza, che erano diverse rispetto a quella di oggi, possono cambiare effetti climatici, quindi effetti anche di temperatura media del Pianeta, e questo ha delle ricadute. Si è visto che la posizione rispetto alla distanza ha un impatto fondamentale sulla durata e sulla temperatura media del pianeta. Potrebbe darsi che nell’Agosto del 79 d.C. ci sia stato un clima con temperature più basse, del resto è stato registrato anche nel passato, pochi anni fa, in cui la temperatura nel periodo estivo è stata più bassa, dovuta a tanti fattori, la distanza Terra-Sole, ma anche l’attività delle macchie solari per esempio. L’attività delle macchie solari non è costante, è ciclica, e quindi in alcune fasi l’aumento o diminuzione delle macchie solari ha un impatto sulla radiazione solare.
Questo significa che essendo un clima probabilmente autunnale in quel periodo, anche ovviamente i prodotti, la produzione agricola, anche queste situazioni ne risentivano. Sicuramente la posizione della Terra non era esattamente come quella di oggi e quindi questo aveva un impatto sul clima. Purtroppo noi non disponiamo di dati esattamente di temperatura di quel periodo.
Dalle ricostruzioni paleoclimatiche si vede una piccola diminuzione della temperatura proprio a cavallo dell’anno 79, ma noi non possiamo, purtroppo non riusciamo a quantificare di quanti gradi era diversa la temperatura. Secondo me potrebbero darci un aiuto i pollini, perché i pollini indicano anche il tipo di vegetazione che c’è nell’area. Quindi studiare i pollini secondo me di quell’intervallo dovrebbe essere molto interessante per capire il tipo di vegetazione e quindi risalire a una probabile paleotemperatura”.
Per la stampa –
Ufficio Stampa Parco Archeologico di Pompei – Tel 081 – 8575327 – pompei.ufficiostampa@cultura.gov.it
Giuseppe Ragosta – Addetto Stampa Archeoclub d’Italia – Tel 392 – 5967459.
Nel link intervista ad Antonio Caruso https://wetransfer.com/downloads/57ec19991ebf030e5e12a7c15b120b6f20251122164353/c4127401c493048b5c5313f5a71c50f220251122164928/a344a7
